MAGNANO IN RIVIERA – 2 FEBBRAIO 2021

Il rio

Danno vita ad un rio che s’infila sotto la conca dei noccioli, tra cascatelle e scivoli d’acqua. Là le rocce non sono mai nude. Le ricoprono croste d’epatiche e morbidi sfagni. Là il Capelvenere si rivela improvviso. Contorna la sorgente perenne, che dona sempre, e pacatamente, freschi stillicidi. Il sentiero vi scende, poi prosegue. Asseconda d’appresso il corso sinuoso dell’acqua. A tratti vi si separa, mantenendosi alla sommità di scarpate tappezzate di felci. Lunghe e lucide foglie di lingue cervine s’irradiano da un centro verde e si protendono sulla riva. Frondose felci maschio vi precipitano in leggiadre cascate. E nel verde perenne delle ripe s’intrufolano le prime fioriture: azzurri bottoni di fegatelle e macchie gialle di primule. Sono i colori della primavera, che qui ci viene incontro. La traccia del sentiero va affievolendosi. Ne intuisci l’accenno del sedime dalle foglie morte degli aceri, appressate al terreno. Infine svanisce. Proseguiremo senza segni marcati da uomini e selvatici, intuendo varchi sicuri dove sarà necessario guadare, per evitare siepi fitte e speroni rocciosi. Le piccole pozze silenziose, d’un vivace verde azzurro, si alternano al corso sottile di acque petulanti tra ciottoli muscosi. Arenarie ben assestate lastricano possibili guadi, come posate da mani sapienti. Sceglieremo il passo giusto, non oltre la possibilità d’un salto azzardato, e scenderemo fino al rudere del vecchio mulino. L’edera ha incollato al tempo i suoi muri decrepiti, ombreggiando il perimetro angusto che non è più confinato dal piccolo uscio.
(Continua…)

Vorrei condurti in certi anfratti dove le felci vantano fronde leggiadre e d’un tenero verde che non si svilisce mai. Farti da guida in vallecole ombrose, appartate e poco battute dagli uomini, dove s’incontrano due ruscelli. Confluiscono nel fitto del bosco. Acque chete.

Anche la vecchia macina, tornata al torrente, ritrova tra i ciottoli accanto le pietre a lei simili, e attende immobile che l’acqua, a poco a poco, le tolga la forma che l’uomo ha voluto imporle. Sarà di nuovo roccia come tante, e ciottolo levigato, e il grano triturato sarà solo un ricordo, brevissimo, nella sua lunga vita. Ben presto la valle si allargherà, a breve sbucheranno dal sottobosco luminoso eleganti denti di cane, profumate viole, variopinte polmonarie. E ben presto la capinera ritornerà, risalendo il rio fino a ritrovare il punto ideale per il suo nido, dove i biancospini si fanno impenetrabili. Per tutta l’estate canterà nel folto della siepe, mattino e sera. Oltre il salto del mulino il rio scivola via verso il torrente. Là troveremo una vecchia mulattiera che ci riporterà in paese. Supereremo il rio un’ultima volta, su di un ponticello di pietre e calce, sopra la pozza dei gamberi. Infine ci allontaneremo da quel suo placido bisbigliare antiche storie e prenderemo la direzione del paese. Vorrei proprio condurti lassù questo pomeriggio, ora che i bucaneve stanno spuntando e gli ellebori verdi alzano le grandi corolle al sole di febbraio. Un sole ancora basso, ma che già basta a ridarci quel senso di luce che pareva perduto. Luce, energia che svolge gli stami e riscalda l’emolinfa di laboriosi insetti pronti a partire, come noi, verso la valle del rio Urana.