CAMPOROSSO – 13 DICEMBRE 2020

Forme rassicuranti

Dopo un’abbondante nevicata i boschi svelano presenze furtive e si popolano di parvenze. Tracce di selvatici ovunque, come segni di carboncino su una candida lavagna. Ne puoi stabilire il peso, la dimensione, persino il momento del passaggio. Ma perché sforzarsi a investigare su queste cose, visto che non dobbiamo inseguire cervi con archi e lance, e nello zaino c’è da bere e da mangiare? Un ragazzo mi chiede: “Dove sono gli animali adesso?”. Rispondo che in pieno giorno stanno in zone segrete della foresta, tranquilli, aspettando il crepuscolo. Nel dire ciò vengo nuovamente assalito dall’atavico desiderio d’inseguire prede, e penso che, se mi mettessi sulle tracce del cervo, capendone bene la direzione dall’impronta dello zoccolo, arriverei prima o poi al suo rifugio. Guardando quelle scie parallele inoltrarsi tra abeti carichi di neve, confondersi nel gioco di luci abbacinanti e ombre chiare, mi muovo col pensiero nella sua direzione, scoprendolo infine, con l’aiuto della fantasia, in una piccola radura, una volta spostato il ramo innevato di un peccio. Improponibile incontro nella realtà. Sarebbe come avvicinarsi all’essenza della foresta e, estrapolando, a quella della natura, del cosmo…
(Continua…)

Ritornare sui propri passi, in un’altra stagione, regala nuove emozioni. Molti pensano che non ne valga la pena. La stessa strada serba per noi inaspettate curiosità e bellezza. Ecco perché, ritorniamo nel cuore dell’inverno alle sorgenti del Fella, nel cuore della foresta imbiancata.

Senza esagerare mi accontento di inspirare l’aria fine e fresca di dicembre, che in questo momento respirano anche i selvatici, e guardare, ma non troppo, questo sole caldo e accecante che buca un azzurro totale e perfetto, né troppo scuro, né celeste chiaro. Poi il ragazzo aggiunge: “Guarda, sembra uno gnomo!” e di fatti il piccolo abete lì davanti ha due occhi tristi, una bocca seriosa, naso a patata e un cappello da gnomo che pende su un lato. Eccone un altro, piccino, poi un’aquila, ah no, è un delfino, ci sono anche una lumaca, un drago sepolto, un pinguino che imbocca il suo piccolo, un angelo in preghiera e così via, non manca un classico cuore, quest’oggi in versione bianca naturalmente, in mezzo ad un rumoreggiante ruscello che non si è ricoperto di neve; poi altre forme, altre sembianze… Si potrebbe continuare fino a sera nella ricerca e nell’interpretazione antropocentrica del circondario. Questo siamo, cacciatori e sognatori, in dosi variabili, nel complesso esseri insicuri, che devono dare un volto noto a tutte le forme che incontrano. E se non ve ne sono, raccogliamo una pietra, un tizzone spento, il succo d’una bacca, e tracciamo, disegniamo, affreschiamo, abbozziamo, graffitiamo… Questa spasmodica ricerca di simboli e forme familiari nei tronchi, nelle rocce, nei profili delle montagne, è qualcosa d’antico e dimostra come, oggi come nel neolitico, abbiamo sempre bisogno d’un parapetto per non precipitare, come da piccoli ci serviva la sponda per non cader dal lettino. Il cervo invece non cerca mamma cerva scolpita nella neve, ma ciuffi d’erba sotto gli abeti, alza la testa, allunga il muso e annusa la stessa aria fine, non per fare il pieno di ossigeno per l’intera settimana, ma per captare da che parte giungono i sognatori con la loro doppietta.