SPILIMBERGO – 5 NOVEMBRE

Dal dio Fiume

Da questo luogo di culto precristiano, legato al corso del grande fiume, scendiamo ai magredi del Tagliamento. L’autunno oggi completa le opere pittoriche con un quadro impressionista. Pennellate in libertà tra alti pioppi ingialliti e macchie caotiche di arruffati salici ripaioli, dove sbucano improvvise le punteggiature rosse dei cinorrodi d’ingarbugliati rosai. Minacciose bacche aranciate di fusaggine accendono siepi agrarie che già hanno accolto il pettirosso. Inaccessibili roveti celano il fulmineo scricciolo, tradito solo dal suo verso sottile. Cammino mangiucchiando coni di ginepro, buoni anche senza lepri da insaporire, e soprattutto antisettici ed espettoranti. Tra foglie secche e cadenti sul magredo sassoso c’è ancora spazio per qualche fioritura. In primavera ci si dedica sempre a cercare affannosamente i primi fiori, tra siepi e fossati. In autunno invece non si bada più di tanto alle ultime corolle. Eppure quella di un candido lino o di un ritardatario eliantemo meriterebbero un inchino; pure l’ ultima centaurea, speranzosa di insetti, o le immancabili sparute colombine, sarebbero degne di un viaggio lillipuziano. E che dire della salvia dei prati, che solleva imperterrita la testa dal cotico intorpidito per dirci: “Sono ancora qui e se qualcuno gradisce l’ultima succhiata di nettare prima del freddo, favorisca pure”; ma ormai è fatta. Tutt’attorno è apparecchiato per il grande riposo. Le rosette basali si stringono attorno alle gemme più care. Le perule dei pioppi e dei salici dovranno far fronte alla bora ed al secco per proteggere i preziosi germogli già formati e pronti alla rinascita. Tra pochi giorni è San Martino; il grano seminato, il resto è stato raccolto. Anche la terra selvaggia accanto al fiume, come il contadino e la sua campagna poco più in là, riposavano un tempo. E la città era di mercato, di ultimi affari prima dell’inverno. Adesso il fiume, rimasto per fortuna barbaro e indomato, guarda alla campagna abbruttita dalle monocolture, dalle rettifiche, bonifiche, dai riordini e dall’aratro che rivolta ghiaia, da concimare chimicamente e abbondantemente per ricavarne soia e cimici. E guarda, poco più su, “lis mucuglis” e il vecchio castello, dal quale andavano e venivano nobili e poveri, riservandosi la facoltà di lasciarli passare o meno tra i suoi canali azzurri, a seconda dell’umore. Belli i cavalli dei re alemanni, che di qui transitavano con eserciti immensi, ma più cari da accarezzare i piedi scalzi dei poveracci, che non avevano soldi da permettersi il passaggio di barca, tentando la sorte nottetempo in queste sue acque, allora come oggi misteriose e immense, intrise di una sacralità senza tempo. E santa Sabida infine li accoglieva come sempre, senza chiedere loro offerte in denaro o merce, ma solo un pensiero per il suo amato dio: il fiume Tagliamento.

L’antica via risaliva “Lis mucuglis”: le rive dello spilimberghese degradanti sul Tagliamento, dopo aver percorso il guado. Giunto alle mura della città, il povero viandante incontrava il tempietto di S. Sabida, la santa inesistente, ringraziandola per il fortunato approdo.