GRADO – 13 FEBBRAIO 2021

Buon ventodì

Il saggio Uffa, che se ne sta comodamente seduto sulla sedia a dondolo, ritiene invece che si tratti di un “leggero zefiro primaverile”. Nel ricordare, a dir suo, venti ben più forti di quello, i piatti volano fuori dalla credenza, che si ribalta sulla sua sedia a dondolo, e infine la quercia si schianta distruggendo la bella casetta in legno. Il gufo ritiene che non sia opera del vento a sospetta ci sia lo zampino di Pooh. Fatto sta che resta senza casa. Mai sottovalutare il vento… che tradotto per noi significa: mai sottovalutare la bora! Oggi era davvero forte, ma non trasportava foglie autunnali e pupazzi di peluches come nel cartone animato. Comprimeva piuttosto il contorno innevato delle Alpi ai canneti lagunari, togliendo prospettiva al paesaggio e restringendolo in un gelido piano che sbirciavamo dalla fessura aperta tra cappuccio e mascherina. Le folate erano tese e limpide, asciutte; le increspature delle onde sul bagnasciuga del piccolo arenile creavano un cordone bianco di ghiaccio, intrappolando bivalvi spiaggiati: Murex, arca di Noè, Cardias, pezzi di canestelli e telline. Nel fitto del limitrofo bosco rivierasco, sotto volte sibilanti di pini marittimi, le macchie scure dei lecci riposavano indisturbate, attorniate dal corteggio sempreverde di robbie selvatiche e ginestrelle comuni. Se Uffa avesse messo su casa da queste parti il rischio di perderla sarebbe stato ancora più alto che nel fantastico “Bosco dei cento acri”, visto che a terra non pochi erano i tronchi di grossi pini, sradicati di recente. Il vento, che oggi cerchiamo di evitare rintanandoci nel sottobosco, è una forza selettiva di prim’ordine. Laddove, sul pianeta, si presenta con una certa costanza e intensità, modella non solo il paesaggio, disgregando rilievi e trasportando altrove le loro particelle, ma soprattutto le comunità dei viventi; seleziona le specie, e non solo le piante. Queste solitamente “abbassa di statura”, si fanno arbustive, o prevalgono le erbe a impollinazione anemogama, cioè con il vento. Basti pensare al secco Zonda della Patagonia, una sorta di Föhn sudamericano, che costringe la vegetazione ad uno striminzito cespuglieto desertico.

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“Ho ragione di ritenere che fuori sia una giornata molto ventosa” afferma il gufo Uffa nel vedere l’orsetto Winnie e il maialino Pimpi spiaccicarsi sui vetri della sua casetta, che oscilla pericolosamente, adagiata sulla vecchia quercia. “Buon ventodì” gli risponde Winnie, mentre i mobili se ne vanno a zonzo da una parte all’altra della stanza.

Ma non serve andar lontano per vedere l’effetto impresso alla natura nelle zone ventose; è sufficiente un giretto in certe zone del Carso e osservare le chiome deformate dei pini neri, o salire sul monte Nanos per incontrare foreste bonsai di faggi contorti dentro le quali è praticamente impossibile muoversi tra le chiome ad altezza d’uomo. Non solo le piante, anche gli animali sono selezionati e condizionati nei ritmi. Nelle zone ventose e con poca vegetazione, steppe, deserti, spiagge, prevalgono quelli che hanno una tana, e tra gli uccelli, naturalmente, quelli che costruiscono il nido al suolo. In queste comunità, che si adattano in modo durevole al vento forte, prevale una dote chiamata resistenza. Se il vento si presenta invece in forma episodica ma con forza, allora non modella costantemente l’ambiente ma imprime drastici cambiamenti di scena: apre schiarite nelle foreste, innesca dissesti, e una volta passato le comunità devono ripartire da capo nella successione ecologica fino a ristabilire nuovamente lo stato iniziale. La loro dote, in questo caso è la resilienza: la capacità di recuperare lo stato d’equilibrio nel minor tempo possibile. La tempesta Vaia e le sue conseguenze ci sta dando una dimostrazione di tutto ciò. Quando soffia forte e costante, il “fastidioso” vento non si comporta soltanto come una forza selettiva per la natura, ma anche nei confronti del nostro comportamento. La bora stamattina condiziona il nostro andare spingendoci in riparati anfratti che altrimenti non avremmo percorso. Inoltre, se ci facciamo caso, seleziona pure i nostri pensieri, portandosi via quelli inutili e “leggeri”, per lasciarci solo con i crucci più profondi, o con le scelte concrete da affrontare al momento, sul dove andare, come muoverci, che cosa fare. Il vento ripulisce l’intorno del nostro essere, illimpidisce e rende essenziale il cammino, ci costringe ai piccoli passi, ad abbassare lo sguardo ed avanzare con cautela, fisicamente e mentalmente. Il vento è in questo senso un ottimo personal trainer, che conosciamo un po’ poco, ma quando non lo possiamo evitare, siamo obbligati ad ascoltare. E se ci facciamo caso, se siamo capaci di ascoltarlo davvero, scopriamo che dà sempre buoni consigli. Perché sono i consigli del nostro inconscio, che finalmente, con una parte della mente spazzata via dalle taglienti folate, si fanno avanti. A lungo andare, a dire il vero, questo vento fa pure venire il mal di testa, con i suoi concetti ripetuti, come un professore che spiega quella e sempre quella. Ma alla fine, quando lo lasci fuori dalla portiera e riparti per andartene alla casuccia tua, un po’ ti mancherà.