PADOLA – 21-22 AGOSTO 2020

Trekking dolomitico

Due giorni di sole, cullati da panorami sublimi: vasti e sconfinati a oriente, spalancati al primo sole; imperiosi e superbi all’opposto, vertiginosamente impennati su pinnacoli e torri strapiombanti in un blu da Cappella degli Scrovegni: indipingibile.

Primo giorno.
Un trekking che si rispetti inizia con lo strappo della bustina dello zucchero, e chi lo prende amaro si trovi un altro inizio! Il caffè sullo stradone, sorseggiato tra discorsi d’abbrivio di una compagnia oliata, se letto con attenzione nei pochi fondi della tazzina, può svelare già l’esito dell’impresa: questo trekking dolomitico senza dubbi sarà positivo! Le auto partono e il tentativo di stoppare la strada messo in atto da goffi camper fallisce miseramente sui tornanti per Cima Sappada. Il Cadore è davvero vicino al Friuli dopo l’annessione dell’alto bacino del Piave ed in quattro e quattr’otto siamo già in piazza a Santo Stefano: scorta viveri, colazione e secondo giro di caffè. Sulle strade ombreggiate del Comelico, tra paesini aggrappati al verde vivo dei prati e folte peccete scampate a Vaia, sbirciamo le incantevoli montagne bianche, abbacinanti nella fervida luce di questa radiosa mattina. Il nostro massiccio si distende mettendo in mostra mille spigoli e ventagli di ghiaie, ricami di diedri e profondi valloni. L’ombra leggera e mutevole delle nuvole complica ulteriormente il dedalo dolomitico; al solo pensiero che ci stiamo recando là il piede destro pigia in autonomia. Eccoci alla partenza, sbucati dai boschi al cospetto di questa vertiginosa quinta rocciosa, con le cime più alte che paiono ribaltarsi addosso al gruppetto pimpante: un pugnetto di camminatori in mezzo al prato. Un’ampia strada militare, prima guerra mondiale e poi Vallo Littorio, ci ingoia tra i boschi e, dopo un’oretta, ci restituisce, digeriti nello spirito, ai pascoli alti, dove i campanacci di pezzate e grigio alpine, al pari delle campane tibetane, ci elevano al settimo chakra. Siamo pronti al Crestone, o quasi. Prima si mangia e si beve. Il Terrano ai piedi delle guglie dolomitiche ha un sapore ancora più aspro che sul ciglione di Contovello. I funghi porcini arrotolati nella calda pasta sfoglia assieme alla pancetta ci danno il colpo di grazia: la giusta pedata per ripartire convinti o quasi, inseguiti da un delizioso strudel cadorino. Con queste premesse il canalino attrezzato si trasforma in scala mobile; a dire il vero per me è stato un tapis roulant! 
(continua)…

Agosto non poteva finire senza lasciarci in dono una corona di guglie dolomitiche ed una conca pittoresca con al centro un piccolo lago alimentato da leggiadre sorgenti che scaturiscono dai nevai, lassù, sotto un cielo blu cobalto che a sera si fa rosa come la roccia.

Il vecchio rifugio, stampato nella roccia, con tutte le imposte dell’unica facciata sbarrate ed il mesto tricolore che non sventola affatto, mette un po’ di apprensione, stemperata dopo un sorso di caffè, per alcuni già il quarto della giornata e, poteva mancare? grappa Storica, ma solo per gli intenditori… Segue l’affaccio sul Valon, e chi non aveva ancora capito ora comprende, chi parlava ora ammutolisce di fronte a tanta superba bellezza. Indescrivibile. Nessun selphie! Sono sorpreso. Tutti si fanno fare un ritratto dai compagni di cammino! Che bella cosa. La giornata è ancora lunga ed il sole alto, ma non altissimo perché i tremila sopra le nostre teste lo stanno calamitando. Il gruppo si spezza in due, come in gelateria ognuno sceglie il gusto da prendere, e parte. Il laghetto al centro della conca, sotto i nevai, potrebbe essere una buona meta, e così è. Anche la croce di vetta della Croda, alta ed esposta all’infinito delle cime orientali, non può che essere una meta azzeccata. Così ciò che resta del fresco pomeriggio d’agosto viene gaiamente vissuto nella limpida atmosfera alpina, tra silenzi pieni di emozioni, ciuffi di eriofori, sorgenti muscose, cascatelle leggiadre, echi di crepitii dai ghiaioni, mentre una mano d’artista gigante e invisibile s’affretta a cambiar colori e luci alla scena. Ed è subito sera. È subito polenta e discorsi, buio che sale dai boschi laggiù, uccellino infreddolito in gabbia, qualche stella, uno “spagnolèt”, un paio di ricordi ma senza intasare la ram, una branda cigolante, mattina. (continua) …

Secondo giorno
Quando il rosato gocciola dai cirri sulla punta più alta e il primo raggio tocca la roccia, la notte squaglia e il suo buio scivola come per gravità, inseguito dal dilagare della luce fin dentro i più minuti anfratti del paretone che hai di fronte. Allora ti senti fortunato, molto fortunato. Lo spettacolo primordiale, cosmico ed essenziale, si consuma lì davanti senza chiederti nulla, in quei pochi minuti che entrano nei neuroni cassaforte: quelli che nessuno potrà più violare, e resterà per sempre là dentro. Nello scendere al rifugio mi attardo tra splendidi epilobi investiti dalla gialla raggiera che giunge radente il pendio; osservo piccoli imenotteri camuffati da vespe che succhiano misteriose essenze dagli aghi dei larici al primo sole: mi rendo conto di sapere poco o nulla. Bastano tre metri di altezza per fare la differenza tra larici e mughi, e quei tre metri al mattino sono oro per le leggiadre fronde verdi, mentre i cespugli brancolano ancora nell’ombra notturna. Basterebbe poco per capire, perlomeno aver la possibilità di tentare, con le porte che la natura ti spalanca ogni istante, eppure pochi sono così semplicemente curiosi di affacciarsi e sbirciare, fuori e dentro. Il latte fumante cola nella candida tazzina, investito dal sole che ormai è padrone del mondo. L’allegra combriccola affardella gli zaini e allaccia gli scarponi. Si parte sul percorso studiato, temuto e sognato. Si parte sul sentiero che non c’è. (continua)…

La montagna non prende mai, dà solo buoni consigli, basta fermarsi un attimo e ascoltare. Se sai di andare oltre sarai solo, senza scusanti. E oltre non è l’adrenalinico ignoto, non è il colpo di genio, è solo nauseante egocentrismo. Perciò utilizziamo la gravità dolce per calarci, seguendo le cascatelle che gioiose precipitano a valle, salutando chi è partito di buon mattino, si fa per dire, per salire ad accaparrarsi un tavolo per pranzo, o chi ha in mente ardite forcelle da mettere nella sua cassaforte dei ricordi. Noi bramiamo un caffè, e che sia tale! Adorando agosto, il suo bollore, ci infiliamo ben presto sotto un ombrellone, tra variopinti balconi, con in faccia il diedro e la labile traccia che un’oretta fa ci ha sussurrato il da farsi. Sono combattuto da tanti dubbi, ma per fortuna su una cosa, una, ho le idee chiare: in gruppo rischiare non più del dovuto, cioè nulla. Piano B si chiama feste di compleanno improvvisate al sapore di pane formaggio e salame, si chiama placido laghetto, bosco di abeti tra i muschi, si chiama relax. Le ferie, che adorabile invenzione!