SAN ULDERICO – 10 DICEMBRE 2020

Rosette basali

L’inverno può regalarci scorci suggestivi, panorami innevati, le solite cartoline insomma. Può d’altro canto riservarci nuove osservazioni e curiosità naturali, che finiscono come sempre per stupirci. Basta un po’ di curiosità e voglia di scoprire, conoscere, capire. Girovagando in quel poco di campagna di periferia, a tre chilometri dal centro della città, un pomeriggio grigio di dicembre si può trasformare in un safari amazzonico, per quanto riguarda scoperte ed osservazioni. I prati e i coltivi apparivano quest’oggi come relitti di paesaggio rurale in mezzo a nuove infrastrutture o vecchie fabbriche riconvertite. Di questo si è già detto. Curiosando tra i campi all’apparenza rinsecchiti si svelava un quadro vivente, una natura resiliente, per usare un aggettivo alla moda, tutt’altro che morta! A parte le ricche schiere ornitiche, comprendenti oltre i soliti gabbiani, pettirossi, picchi, passere, un cormorano, un airone bianco, un fagiano destinato a qualche rara doppietta di città, vi erano tracce di capriolo, lepre e altri “alieni” in casa loro: animali che anticamente abbiamo sfrattato e ora sono rientrati, quatti quatti, approfittando delle macchie di arbusti in crescita nei frequenti fondi abbandonati. Ciò che più ha attratto l’attenzione sono state ancora una volta le piante, colte in un presunto stato di riposo, che tale non è, ovviamente. Tralasciando quelle coltivate negli arativi e quelle delle siepi agrarie, meritevoli di una futura osservazione, destavano curiosità quelle degli incolti e dei prati stabili. Il primo ambiente era caratterizzato da una sorta di pampa rinsecchita, con alti fusti che portavano il prezioso esito di una stagione vegetativa: frutti e semi. Le loro forme e dimensioni, corrispondenti ad altrettante modalità di disseminazione e colonizzazione di nuove superfici, erano un compendio di architettura funzionale e ingegneria gestionale da meritarsi un intero corso universitario. (Continua…)

Un pomeriggio quasi in città, per ricercare la natura ribelle, quella che se ne infischia delle lottizzazioni, degli espropri e dei riordini fondiari, quella scampata al cemento dei capannoni, all’asfalto dei parcheggi, ai diserbanti delle ferrovie, quella viva, più che mai.

C’era chi optava per le bacche, come le solanacee, chi per pappi piumosi, chi per acheni uncinati, capsule spinose, insomma, era difficile trovare due piante che adottassero strutture e strategie simili di propagazione. Inoltre più della metà di queste specie era “volgarmente esotica”, per così dire, utilizzando un luogo comune dei puristi botanofili. In realtà non c’è nulla d’esotico nella natura. Tutto ha un senso e un fine ultimo, che piaccia o non piaccia. Gran parte delle piante erano annuali, in altre parole specie che hanno riposto nel “mordi e fuggi” la strategia di vita. Oggi qua, domani là, dopodomani chissà… Versatili, veloci, opportuniste, geniali! C’erano poche perenni: motori diesel, più lente ma ugualmente coraggiose. Non si sa mai che l’abbandono duri più anni! Nel qual caso colonizzano alla grande, sopraffacendo le altre. Vi erano irsuti verbaschi, adagiati in larghe rosette basali, e spinosissimi cardi, che temono le greggi più che i rigori invernali. Nei limitrofi prati stabili, autentiche reliquie ambientali dell’Alta Pianura Friulana e per questo, per fortuna, protette, la situazione era completamente diversa. Qui la competizione per lo spazio è serratissima. Non puoi cedere di un millimetro che ti ritrovi addosso fittoni, stoloni, cespi invadenti, germogli aggressivi. Eppure la viscerale lotta per la sopravvivenza ha fatto si che in centinaia d’anni si venisse a creare questo crocicchio di specie dalle svariate provenienze, “nobilmente autoctone” che ha portato ad impennare la parabola della biodiversità, altrove purtroppo pendente verso il basso. Anche qui, nell’inverno a carte scoperte, rosette basali a iosa, di tutte le fogge e grandezze. Tecnicamente definite emicriptofite, dalla particolare forma biologica riservata alle piante che mantengono le gemme dormienti a livello del suolo, né sotto, come le geofite, né sopra, come le camefite e le fanerofite. Tra queste la più regale è quella della piantaggine media, che già di suo è appressata per sopportare calpestio di zoccoli e suole, ma che in inverno è ulteriormente appiccicata alla madre terra disegnando una sorta di algoritmica serie di Fibonacci da farti girare la testa tanto è precisa. O Natura, o Natura! Quando smetterai di sorprenderci!