SAVORGNANO – 4 NOVEMBRE 2020

Le piccole cose

Le escursioni che preferisco sono quelle vuote di cose ovvie, di bellezze scontate o note; sono quelle che non sai mai all’inizio cosa ti riserveranno. Fogli bianchi che riempirai con ciò che hai intravisto per la prima volta, con ciò che hai scoperto inaspettatamente, posando lo sguardo accanto ad ogni passo, nelle crepe di un muro a secco, nel viscido delle foglie morte e calpestate, negli anfratti del mondo. Adoro le piccole cose intrviste a cammin facendo: le minute foglie della borracina, i licheni incrostati sui sassi. Tendo l’orecchio gaiamente ai suoni dei passi sul sentiero percorso per la prima volta, mi pigliano dentro gli slarghi improvvisi tra i filari dei carpini, le cortecce rugose delle roveri, i posti dimenticati e rimangiati dal bosco, dove tenti di leggere il passato decifrando i vaghi segni rimasti, come un detective perdigiorno. Oggi è stato uno di quei tempi dove t’inventi tutto all’ultimo: una camminata non programmata, un percorso auto-costruito, un finale casuale. Non c’è stata traccia di ovvietà e scontatezza nell’itinerario seguito, ed anche l’unica pietra miliare ipotizzata all’inizio, l’amenissimo vigneto panoramico della Cengle, è stata scartata strada facendo, piegando in tutt’altra direzione, nel fitto, nel vago, nel caos. Ad ogni bivio finivamo per imboccare una strada scelta all’ultimo, quasi a caso, ma non per sbaglio. Bastava uno sguardo furtivo e la decisione era presa, ma non si è mai saputo da chi veramente. Il cielo plumbeo ci ha negato il tramonto, o meglio ci ha regalato un tramonto non scontato, tra le frasche defogliate del Torre, laddove l’acqua, libera di scendere dai monti, subisce lo scontato finale di un furto, incanalata da secoli verso l’assetata pianura. Le piccole cose inattese sbucavano improvvise intorno a noi. Rane rosse si tuffavano in stagni misteriosi, greti segreti aprivano piccole stanze tra i salici, labirinti caotici dove funghi inattesi erano spuntati probabilmente nella notte o cinque minuti prima, per poi squagliarsi in gocciole nere subito dopo. Le foglie pelose del verbasco trattenevano miriadi di microscopiche gocce lucenti, giunte da chissà dove, visto che non piove da tempo. Languidi paesaggi serali accompagnavano l’acqua silenziosa di rogge sbucate dal nulla, che abbiamo seguito per un po’, fintantoché non procedevano scontatamente verso campi aperti. Il vagabondaggio naturalistico, adorata pratica di contatto con il mondo selvaggio e relativa liberazione onirica, non perde la sua forza emotiva se praticato nella campagna un po’ trasandata dei colli pedemontani, o in vecchie viuzze di paese percorse per la prima volta, a notte fatta, cercando osterie, non trovate. Avrebbero indotto a soste scontate, ma ben gradite. Le piccole cose semplici, scoperte andando a zonzo senza grandi pretese, sono un vero tesoro. Probabilmente le dimenticheremo il giorno dopo, perché son fatte apposta per essere scordate, ma per un attimo, grazie a loro, abbiamo attinto una piccola, vitale e non scontata, boccata di libertà.

Un bel panorama, un paesaggio bucolico, una baita in mezzo al prato, il cielo azzurro, le acque scroscianti di un torrente alpino, una cascata, un placido lago, e poi ancora mandrie al pascolo, fiorellini d’ogni sorta, temperature gradevoli. E se non ci fosse nulla di tutto ciò?