SAN DANIELE – 11 FEBBRAIO 2021

Le facce della medaglia

Il bel tempo si getta all’inseguimento dei giorni di pioggia, cavalcando in cielo bianchi destrieri che passano veloci sui colli e braccano i cumuli neri che fuggono a Est: Ti vien voglia di correre nella stessa direzione per scacciar via, da suo fidato complice, quella cappa d’umido che ti è penetrata nelle ossa e ti ha relegato per troppo tempo dietro ai vetri di casa. Son stati giorni privi d’ombre e di spessore, scialbi e inutilmente tristi, nonostante i primi crochi fossero spuntati, e nonostante il tentativo di sorriso delle primule. Da un privilegiato pulpito al centro del Friuli: le colline moreniche attorno al laghetto di Ragogna, assaporiamo finalmente il piacere della rivincita del sereno sul coperto, dell’alta sulla bassa pressione, della luce serale sulla penombra pomeridiana. Ci godiamo lo spettacolo del cambio di guardia tra il clima atlantico, buono solo per sfagni, epatiche, microrganismi del terreno e qualche altra forma di vita marginale, e quello polare, crepitante, che asciuga e congela, regala nitidi contorni al quadro, panorami e cime lontane. Domattina tutte le pozze tra le capezzagne saranno lastre di ghiaccio e potremo sfasciarle a tallonate; i solchi dell’aratro solidificheranno in montagnole di terra che scaleremo senza infangarci; il mucchio che la talpa ha accumulato quest’oggi nel bordo del prato congelerà, relegandola nel sottosuolo; geleranno pure le nostre impronte, lasciate nel fango qua e là, mentre cercavamo di scansare gli acquitrini che si erano impossessati della strada di campo.
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I succhioni affilati dei gelsi s’attorcigliano al cielo di tramontana. Anche le appuntite verghe dei vimini puntano diritte verso l’azzurro che va sparpagliandosi da occidente. Intrappolano nelle loro flessuose maglie gialle fugaci nuvole grigie che vanno disfacendosi. Tersi pomeriggi ripuliti dalle folate asciutte del vento.

Dal colle più alto, che pare la gradinata di un’arena di canto per pittori e scrittori, da Micossi a Sgorlon, ammiriamo quest’angolo di Friuli riaccendersi dopo il maltempo. Ed è il Friuli autentico: quello delle dolci ondulazioni moreniche, dei filari ordinati di gelsi, ancora curati, dei campi ingrigiti di stoppie che attendono l’aratro, di quelli scuri già arati, delle pezze ingiallite dei prati stabili, o verdeggianti di germogli di grano. Piccoli lembi di terra ornati di ontani neri, compatte siepi agrarie che seguono serpeggianti ruscelli, fin sulle rive del lago. Roverelle ben sagomate in mezzo ai prati, che salgono su fin sull’alto dei poggi, e filari di carpini bianchi in metronomica disposizione attorno alle vecchie uccellande. Dettagliati confini tra i fondi, alternati a vaghe boschette, e fondali innevati. Mescolanze note che compongono quel mosaico familiare che oggi torna a risplendere, con il prepotente ingresso dell’alta pressione. Andate via! Nuvolacce moleste! Venga avanti il sole, si porti pure con se il gelo polare, e trionfi la luce pulita sulla sciattezza fradicia dei giorni scorsi. Ma… Un momento! Che ne sarà dei lunghi stili dei Crocus già fioriti? Verranno strozzati dalla morsa del freddo! E delle coraggiose avanguardie di primavera, le carnose foglioline delle primule, le corolle dei bucaneve, che fine faranno? Come resisteranno alla tenaglia del ghiaccio i teneri sfagni rinverditi, i germogli delle piantine acquatiche nei piccoli stagni? E i licheni fogliosi? che si erano da poco riattivati grazie all’umidità ed alle temperature intiepidite, come reagiranno a dieci gradi sotto zero? Come farà la rana, risvegliata dall’insolito tepore di fine inverno, stimolata da quel piacevole caldo umido a riprodursi nello stagno che domani congelerà? Dove troverà nuova forza per rintanarsi, visto che il suo bonus energetico è terminato?
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Se da un lato è Facile apprezzare il ritorno del sole, dall’altro è difficile capire quanto sia vantaggioso per una o l’altra specie. Mi si dirà di Darwin, della selezione, della spinta evolutiva eccetera eccetera, ma io, che non sono Dio, valuto nel mio piccolo intorno le conseguenze di un drastico mutamento meteorologico nei confronti di altri piccoli individui come me. Io non posso far altro che pensare nell’immediato, nel concreto, senza affiancarmi al Creatore nel tentare di decifrare il suo complicato disegno, e credo che ciò che oggi mi rallegra: un sole bello e un’aria fina, sia per altri esseri viventi motivo di pena. Tutto lì, senza troppe elucubrazioni. E oggi mi fermo alla loro pena, senza cercare di vederne i risvolti positivi, evoluzionistici, adattativi, e la leggo a modo mio. La medaglia non presenta due ma cento, mille facce diverse. Ognuno vive la sua. Una sintesi spicciola è impossibile per chi va oltre le parvenze di un bel paesaggio, come quello odierno, che tra l’altro abbiamo guadagnato senza troppa fatica. L’eccitante ritorno del “bel tempo” era in realtà il solito, parziale, commento umano, un’esclamazione di comodo, una canto di giubilo levato tra mille implorazioni che non saremo mai in grado di ascoltare.