SAURIS – 31 OTTOBRE 2020

La lunga via

“Non affrettare assolutamente il viaggio. È meglio che duri molti anni; e già vecchio attracchi all’isola” ci raccomanda Kostantin Kavafis nella sua “Itaca”. Questa mattina, salendo ai festosi pascoli di sella Festons, tra larici dorati e bacche rossissime di sorbo, protesi contro un cielo bluissimo, spennellato da lattei cirri, puntavamo decisamente verso Itaca: il monte Morgenlait. Un cocuzzolo erboso che s’innalza alle spalle di Sauris di Sopra, il paese più elevato delle Alpi Orientali. Il toponimo credo derivi da morghen licht, “la luce del mattino”. È lassù, infatti, che compare il primo raggio del giorno, estate o inverno che sia, e da lassù, metaforicamente, proveniamo tutti: dalla luce del mattino. Un viaggio iniziato a oriente, e orientarsi vuol proprio dire ritrovare la via percorsa, per ritornarvi un giorno. Ma, come dicevo, fare rotta già di buon mattino verso Itaca, l’approdo finale, non è buona cosa. “Prega che sia lunga la via” suggerisce il poeta greco, esortandoci a camminare, entrare negli empori fenici per acquistarvi “madreperle e coralli, ambre ed ebani, e voluttuosi profumi d’ogni sorta”. Così abbiamo fatto. Giunti alla prima boa abbiamo piegato a babordo, volgendo la poppa alla croce di vetta e la prua al mare aperto, ai vasti pascoli ingialliti di un autunno ormai sceso di quota e tallonato dall’inverno che ha già imbiancato le cime. Scorgendo con gran felicità e gioia l’aquila reale ed i veloci balzi del capriolo, abbiamo attraccato per la prima volta sotto forcella Rioda. Voluttuosi aromi e gustose vivande hanno allietato il pranzo, come fosse un mattino d’estate. Ma non ci siamo limitati soltanto a gozzovigliare, almeno non tutti. “… in molte città egizie va’, impara e impara dai sapienti”. Le rocce raccontavano, la vegetazione raccontava; ogni parte del tutto che ci circonda racconta la sua storia, e, tessera dopo tessera, passo dopo passo, la sapienza ci riempie dentro, l’esperienza ci fa maturi.

(Continua…).

Andar per monti è un po’ come andar per mare. L’unica differenza, forse, è che in mezzo ai monti l’orizzonte è più concettuale che reale. Un orizzonte virtuale, nel quale combaciano speranze e inquietudini di navigatori e camminatori, come si riflettono i larici nei laghetti alpini.

Eccoci quindi pronti a proseguire nel viaggio, che sia mare, o montagna, o città. Attraversate zone d’ombra, in contrasto con dolomitiche cime assolate, ascoltato la voce sottile di antiche casere diroccate, un sibilo di vento che ammutolisce e stringe il cuore: eccoci davanti a Itaca. I laghetti la riflettono e proiettano la sua tonda linea tra i cespi di carici secche. Sprofondarvi non sarebbe più facile che salirvi, e non conosciamo altra via che questa. Il sole è alle spalle, la ripida erta d’innanzi, come un mare in tempesta: l’ultima fatica. Approdiamo all’isola che ci ha dato il bel viaggio. Il sole va in buca, come una palla da golf, tra il Cridola e i Monfalconi. Sella Scodovacca è una fucina di luce. Il giorno è finito, giunto è il cammino alla luce del mattino. “Se anche la trovi povera, Itaca non ti ha ingannato”. Essendo diventato tu così sapiente, con sì grande esperienza; non foss’altro perché ora sai cosa sono le Itache.