PAULARO – 20 SETTEMBRE 2020

Il testimone

Il sentiero si stacca dalla stradina sconnessa e rimonta spedito, senza fronzoli, il ripido pendio dove crescono i faggi, i pecci e gli abeti secolari che fanno del bosco Zermula uno dei più belli della Carnia. I bollini rossi spiaccicati qua e la sui tronchi corrugati ci indirizzano a capo chino verso la nostra meta: La Palme. La troviamo dopo una bella sudata, laddove l’avevamo lasciata l’ultima volta, qualche anno fa. O forse era un po’ più in basso. L’età dilata i sentieri, è risaputo. La bellissima Dane, come si chiama in friulano l’abete bianco, è in perfetta salute e per fortuna la tempesta Vaia non sembra averla neppure sfiorata. Dei sei virgulti che ha generato molti e molti anni fa dal suo fusto principale, piegato da chissà quale evento (forse un’antica Vaia, o forse una slavina, o un vicino di bosco schiantato, chissà) soltanto il terzo, mingherlino, par faticare a tenere il passo dei fratelli. Questi invece continuano la loro ascesa e la crescita rigogliosa, soprattutto il secondo, alto quasi quaranta metri e bello grosso, con una circonferenza di due metri. Attorno alla Palme si sta bene, ci si sente come a casa. Anche i funghi, dalle muscarie ai porcini, paiono felici, e spuntano dal letto di teneri aghi che la grande pianta dissemina con parsimonia creando il substrato ideale ed intessendo con i loro miceli proficui legami. Sotto la Palme si sta bene, perché ci si sente al sicuro, accanto ad un testimone del tempo che ha resistito così a lungo a freddi inverni, ai venti e, negli ultimi decenni, ad estati sempre più calde ed arse. (continua…)

Nel bosco Zermula vive l’abete bianco più strano mai incontrato. I paularini lo hanno battezzato “La Palme”, per la curiosa forma che a dir loro ricorda una palma. Con i suoi centocinquant’anni di vita non facile, a giudicare dal portamento, ne ha viste di stagioni…

C’è da chiedersi, di fronte al grande albero, se potrà portare ancora per molto il testimone del tempo, adesso che tutto cambia così velocemente, adesso che le tempeste incombono sempre più forti e con maggior frequenza in questi boschi che per secoli erano il rifugio di boscaioli e cervi. Foreste eternamente uguali, che pur cambiando a poco a poco i loro attori, rimanevano folte, vitali, sane. Ma oggi, seduto al cospetto del grande vecchio, parlando di boschi, di ecologia, di clima, ho capito che quella stabilità che l’albero ha saputo conquistare a fatica e mantenere nei secoli, forse è giunta al capolinea. Guardavo La Palme con preoccupazione e ad un certo punto ho notato uno dei suoi slanciati rampolli volgersi lentamente verso me. Mi porgeva, nel silenzio sospeso del bosco, nella luce morbida del giorno senza sole, un testimone: un messaggio da custodire e portare avanti nel tempo. Ho provato vergogna nel riconoscermi come la specie che ha innescato tutto questo casino, e ho avuto paura, di restare solo, senza la sua confortevole presenza. Tutto cambia troppo velocemente per adattarvisi dignitosamente. Altri centocinquant’anni e qui avremo il clima delle colline; avremo le palme, quelle vere! E la prossima Vaia potrebbe essere l’ultima per nostra Palme. Non so se sarò in grado di raccogliere quel testimone, di fare qualcosa per frenare il treno lanciato nel binario morto. Ma ci proverò.