SARONE – 13 SETTEMBRE 2020

Il rovescio della montagna

È un mondo al contrario quello delle malghe del Cansiglio orientale. I ritmi, pacati e circadiani, non sono quelli disturbati che seguono le genti della pianura laggiù. Il tempo si deforma a modo suo quassù, complice la brezza di valle. Si distende più calmo, tra ciuffi di genzianelle e le screziature dei labelli delle eufrasie. I pascoli, che altrove nella montagna friulana occupano i cocuzzoli, qui stanno più in basso dei boschi, nelle ampie doline che chiamano Fosse, o Buse. Così Fossa di Sarone, Fossa de Bena, Busa Bravin son nomi di casere, piccoli e semplici edifici, di pietre chiare: calcari; alcune sono piene di conchiglie fossili, che i pastori chiamano Scios. Oggi siamo diretti al Col dei Scios, il colle delle conchiglie, una piccola vetta erbosa, unica eccezione alla regola dell’inversione che vige in Cansiglio. Mentre vacche al pascolo e capre scorazzano dentro questi imbuti verdi, con i lupi quatti quatti sul bordo delle ombrose faggete ad aspettare che cali la notte, noi si girovaga come cappuccetti rossi da una casera all’altra, spiluccando, sorseggiando, con il nostro cestino di buoni dolcetti da portare alla nonna, sulla cimetta tondeggiante. Qualcuno chiama dal basso. Ci sono i funghi. Mazze di tamburo come frisbee lanciati nel mezzo dei prati. Alla griglia stasera verranno venissimo. Due piccoli porcellini, si fa per dire, visto che superano il quintale, dormono nella sicura casetta di mattoni, pure intonacata a Costa Cervera; il terzo forse è già appeso ad affumicare nelle travi annerite della casera. Il lupo era l’uomo, la vita è così. Un sonnecchiante cane pastore registra a lenti bau bau gli ingressi nel parterre di erbetta novella, luogo precluso agli umili pascolatori quadrupedi e destinato a bipedi snob. Annalisa, guanciotte rosse come i suoi rigogliosi gerani e sorriso aperto, ci offre panna cotta ai frutti di bosco e racconta in trenta secondi la sua vita di malgara felice. La caldaia di rame luccica nel buio dello stanzone e un raggio entra come un laser dal buco sul tetto che serve a far uscire il fumo. Formaggi dorati sono impilati come in una boutique e le ricottine non aspettano altro che di entrare in zaino. Questo è il suo paese delle meraviglie e lei forse non si chiama Annalisa. Lo si capisce bene da come ride. Avendo solo vacche bruna alpina fa pure breccia nel mio cuore: è la razza della mia infanzia, mi ricorda nonno Tite. Lasciamo gli alti pascoli, che qui sono in basso; risaliamo alle abetine, che solitamente incontriamo scendendo; arriviamo infine alle faggete, che qui sormontano tutto e non stanno giù a valle. I famosi faggi del “bosco da reme” della Serenissima sono ancora verdi, ma tra le fronde traspaiono i primi viraggi cromatici verso le tinte calde dell’autunno ormai vicino. Rientriamo seguendo non le briciole di Pollicino, ahimé, ma i segni bianchi e rossi sugli alberi. Smarrirsi non è più possibile in Cansiglio, purtroppo, se non con la fantasia.

Il Cansiglio chiamava. Finalmente l’aria settembrina, calda e carezzevole, ci ha sospinti dalla pianura pordenonese fin sul bordo dell’altopiano, dove i pascoli alpini e le casere non svettano sopra i boschi ma al contrario, sono sul fondo di grandi conche.