LAIPACCO – 28 GENNAIO 2021

Ciottoli vivi

Soltanto nelle nostre case, in piatti e stoviglie, nei pavimenti, nei macelli e nelle sale operatorie, dentro le autoclave o le lavatrici, creiamo, a fatica, ambienti asettici, ma di breve durata. Tenere a distanza la vita ci costa un sacco di sforzi: massicci impieghi di sostanze chimiche, radiazioni ionizzanti, trattamenti termici spinti, atmosfere controllate. Poi tutto torna come prima. Arrivano le spore batteriche, di muschi e funghi, i talli dei licheni, s’infiltrano miceli, giungono semi, e siamo da capo. Vita ovunque. Molti pensano che una parete rocciosa, un candido manto di neve, un deserto sabbioso, siano ambienti privi di vita. Saranno privi di Stambecchi, di Orsi polari, di lucertole, di piante superiori, ma in quanto a batteri, muffe, alghe unicellulari, state sicuri che non c’è un millimetro quadrato di superficie che non sia o non stia per essere abitato da microrganismi, o risulti inospitale per loro. Nelle sorgenti idrotermali c’è vita. Methanopyrus è un batterio metanogeno che vive sui fondali marini a profondità di 2000 m, a temperature di 84 -110 gradi centigradi. Il ceppo 116, isolato in un laboratorio americano, può sopravvivere e riprodursi a 122 gradi. È suo il record di organismo resistente alle temperature più alte sul pianeta. Anche sotto lo zero troviamo microrganismi che crescono e si riproducono come se niente fosse. Polaromonas vacuolata è un microrganismo psicrofilo (amante del freddo) che si riproduce anche sotto il punto di congelamento dell’acqua. Il carattere “invasivo” della vita, la tendenza a colonizzare, proseguire nel cammino intrapreso oltre due miliardi e mezzo di anni fa, è l’essenza stessa della vita, lo scopo ultimo, codificato e conservato nel DNA.
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La vita è invasiva. La superficie della Terra ne è intrisa. Ovunque, nell’aria, nel sottosuolo, nei ghiacci e fin dentro le rocce. Spore, cellule, patine, tessuti e organi rivestono ogni angolo di mondo. La sterilità, assenza completa di forme viventi, non è prerogativa di questo pianeta.

Questo pomeriggio passeggiavamo lungo l’arido greto del basso Torre, alle porte di Udine. Escursione forzata a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Restrizioni che dal punto di vista naturalistico possono portare ad un’apertura di vedute, al saper cogliere aspetti e visitare ambienti che altrimenti si trascurerebbero a vantaggio delle solite mete naturali come boschi, laghi, montagne. Impedimenti agli spostamenti che, se opportunamente sfruttati, consentono di osservare con maggiore attenzione e dettaglio ciò che abbiamo a portata di mano e che solitamente tralasciamo. Il greto del Torre, appunto: un’ampia e assolata distesa di ciottoli di dimensioni medie (circa dieci centimetri di diametro), piatti e tondeggianti. Il risultato di un trasporto millenario di rocce erose ai versanti prealpini da parte di uno dei corsi d’acqua che solca le valli più piovose d’Europa. Ciottoli bianchi, grigi, ocracei, perlopiù dolomie e calcari mesozoici o arenarie cenozoiche. Camminavamo in questa distesa incoerente che anche dopo piovuto appare asciutta. Nessuna pozzanghera, nessuna traccia di acqua in superficie. Assorbita rapidamente da un letto poroso che ha uno spessore di un centinaio di metri. Tali ciottoli, mobili sotto i nostri passi, apparivano nerastri, macchiettati, imbrattati da chiazze rosee o da fasce verdastre. Erano in realtà strapieni di vita, ricoperti di patine algali, di croste licheniche, di forellini minuscoli dove s’erano infilati talli e ife. Ognuno di questi piccoli ciottoli è un microcosmo a se stante, un ecosistema in miniatura dove si sta combattendo la spietata lotta per la sopravvivenza, a colpi di armi chimiche: antibiotici, antimicotici, di sottrazione di spazio, di miglior sfruttamento delle risorse disponibili, poche a dire il vero, ma a quanto pare sufficienti. Tanto basta alla vita per esprimersi: un ciottolo di fiume come substrato, il sole come fonte di energia, l’aria per l’anidride carbonica, l’azoto o l’ossigeno, e l’umidità atmosferica come riserva d’acqua; qualche traccia minerale assorbita dalla roccia ed ecco fatto, la vita è servita. È una fantastica dimostrazione di complessità, un piccolo sasso, un microcosmo che ha il sopra e il sotto, e sopra vuol dire più luce, ma sotto più acqua. Ha anche una via di mezzo, di lato, dove le variabili ambientali si mescolano, e osservandolo in tutte le sue facce appare con colori diversi, popolato da miliardi di organismi diversi, un po’ come guardare il nostro globo dallo spazio. Presto o tardi passerà da queste parti, nell’alta pianura friulana alle porte di Udine, una piena eccezionale. Succede ogni qualche lasso di tempo, decenni?, secoli?, di preciso non si sa, ma prima o poi ripasserà. Rimescolerà i ciottoli, strapperà gli arbusti, spazzerà via muschi, ribalterà questi ecosistemi in miniatura e tutto riprenderà da capo, inseguendo una nuova, maggiore, migliore complessità. Questa è vita ragazzi?